Basta scorrere l’elenco delle notizie pubblicate quotidianamente da Elbareport per capire che, senza un approccio sistematico e globale ai problemi, questa isola non si salverà. Oggi non si può stare fermi e piegati aspettando che passi la piena; oggi stare fermi equivale a tornare indietro. L’isola sprofonderà inevitabilmente in un passato anonimo, squallido e povero. Voglio provare a usare alcune parole chiave. La prima è: cultura o identità culturale locale. Anche se resto isolano nella mente e nel cuore, vivo a Siena da molto tempo. Mi è capitato di assistere ad una mutazione antropologica significativa. Prima i Senesi erano, prima di tutto, cittadini senesi, civicamente consapevoli e con una identità culturale forte. La loro risposta alla globalizzazione, partita da una tradizione storica indubbiamente solida è stata, però, inefficace. Invece di spiegare e diffondere all’esterno i caratteri e i motivi che avevano fatto di loro una comunità di successo, i senesi hanno preferito arretrare i limiti del confronto, rifugiandosi nella dimensione rassicurante e confortevole della contrada. Il risultato è stato l’indebolimento dell’identità cittadina, il suo dividersi in diciassette piccole patrie. A questo deve aggiungersi la tendenza della città medesima, negli ultimi decenni, a separarsi dal suo territorio (Chianti, Crete, Montagnola) con il quale per secoli il rapporto era stato armonioso, per costruire un’immagine narcisistica ma sostanzialmente falsa. Infine sono arrivati i gravi dissesti finanziari e il malgoverno della banca. La città, oggi, è ferma. La cultura, che dovrebbe essere la sua risorsa strategica, è bloccata dalla impossibilità di progettazione che scaturisce dalle divisioni politiche interne, dalle troppe istituzioni preposte, dai troppi direttori e dirigenti (che, oltretutto, costano anche un sacco di soldi). Qualcuno dice che all’Elba la divisione in otto comuni rispecchia una situazione storica. E’ falso, l’attuale configurazione amministrativa dell’isola risale al tardo Ottocento e, certamente, è piuttosto difficile che le tradizioni culturali rispecchino i confini comunali. Chi sta fermo non va da nessuna parte. Bisogna aprire, aprire, aprire, per non morire. I cittadini devono muoversi, essere attivi, scegliere e stabilire loro quali siano i candidati (non solo i partiti) fra i quali scegliere. Io, elettore di sinistra, ho più volte sbagliato. Anni fa fui fra quelli che contribuirono a mandare al Parlamento europeo una simpatica giornalista dai capelli rossi. Non mi risulta che abbia fatto interventi o leggi che noi italiani possiamo ricordare. In tempi più recenti, ho contribuito a mandare al medesimo Parlamento europeo un ex-rettore di Università (stesso risultato). Né possono gloriarsi gli elettori di destra, che in Europa hanno mandato un’anziana cantante, da anni in deposito presso le reti Mediaset, o un volto noto del leghismo più violento e becero. Abbiamo tutti sbagliato, e non una sola volta. Il fatto è che dobbiamo farlo meglio, questo nostro mestiere di cittadini, dobbiamo prenderlo più seriamente, farla finita con gli uomini di apparato così come con i barzellettieri (ma chi le racconta più, le barzellette?) e con i puttanieri. Se una persona è brava, seria, preparata e motivata, dobbiamo chiedere che si presenti alle primarie. Diversamente, dobbiamo dire, e a voce alta (i social network hanno in questo momento un volume altissimo) che non si faccia vedere. Quando si voterà per il Comune unico (che sia scelta nostra o inevitabilmente calata dall’alta) ci dovranno essere persone al di sopra delle parti e capaci di pensare ad un solo, grande obiettivo: l’Elba intesa come bene comune e bene comune non solo degli Elbani ma di tutti. Parafrasando Laura Boldrini, mi verrebbe da dire: facciamo dell’Elba l’isola della buona politica! Lavoriamo perché in capo a dieci anni siamo noi l’esempio per gli altri invece di essere noi quelli che si lagnano sempre di come si sta bene fori e di come si sta male qui. Io sono, appunto, un “elbano di fòri” o “nativo” (come preferite) ma ci tengo a questo scoglio, ci tengo parecchio. Dice un mio collega di Università, Marco Valenti, che “la ricerca della qualità nel territorio dovrebbe essere intesa come vitale di fronte all'implosione del modello di vita urbano, alienante e alienato dalla finalità del buon vivere civile, nel quale si riducono progressivamente gli abitanti dei centri storici a favore di periferie sempre più allargate, deturpate e al tempo stesso deturpatrici”.
L’Elba può ancora proporre un modello alternativo e positivo.
In teoria, basterebbe applicare l'articolo 9 della Costituzione Italiana: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Paesaggio, patrimonio ambientale e culturale, qualità della vita. Ecco tre parole chiave dalle quali potremmo ripartire. Tre parole chiave sulle quali il futuro sindaco dell’isola potrebbe impostare il suo gravoso ma entusiasmante lavoro.
Ambiente e cultura possono ben essere moltiplicatori di energie e attrattori di risorse dall’esterno. Bisogna, però, ripartire dall’educazione e dalla formazione di noi stessi senza aspettare l’aiuto della Repubblica, per fare di questa isoletta il luogo nel quale si elaborano buone politiche.
Dice Salvatore Settis che chi governerà il Paese, quando sarà, “…deve investire in formazione e ricerca per liberare le energie creative di cui il Paese abbonda. Deve riconquistare lo sguardo lungimirante della nostra Carta fondamentale, proponendo al Paese un progetto per il futuro. Deve rimettere in circolo quello che più ci manca oggi: la speranza. Speranza non nella competizione fra individui, ma nell’equità e nella giustizia sociale”. Parole astratte? Forse. Oppure, semplicemente, parole dirette da mettere in pratica e senza perdere altro tempo. Le divisioni vanno elaborate e superate, non devono essere schermo per una disperante mediocrità.
Franco Cambi