Avevamo fatto passare Natale… si sa a Natale siamo tutti più buoni…. Poi è arrivata la primavera e con essa anche le motivazioni della sentenza ( che ovviamente avevamo intuito dall’inizio del processo ), ma eravamo in piena pandemia e un’altra ondata di buonismo ci ha travolto, nella troppo ottimistica prospettiva che una minima dose di buon senso avrebbe potuto evitare di porgerci su un piatto d’argento, ancora una volta, l’occasione di chiarire - carte alla mano - vicende giudiziarie “paesane” che, ahimè, hanno coinvolto una buona parte della popolazione, quella stessa alla quale oggi si continua a raccontare, senza alcuno scrupolo, una versione distorta e autoreferenziale, quasi che noi qui fossimo sordi, ciechi e soprattutto muti.
E questa volta, che veniamo di nuovo tirati in ballo, in un post segnalatoci su Camminando blog del 16 agosto, financo a sentirci accusati di “persecuzione penale”, possiamo dire, per usare un’espressione locale: “‘un se ne po più!” Natale è passato…. la pandemia purtroppo no, ma sebbene in rimonta non ci assorbe ancora abbastanza, e soprattutto abbiamo la serenità e l’equilibrio per portare un contributo di chiarezza e di trasparenza su quella “persecuzione penale conclusa a fine 2019 con una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste” e su quelle “cause civili” che la Dr.ssa Paola Mancuso asserisce di aver vinto “fino alla Cassazione”.
In entrambe le vicende giudiziarie - strettamente legate tra loro - siamo state parti, quindi le conosciamo bene e soprattutto conosciamo (e comprendiamo) il contenuto delle pronunce dei vari uffici giudiziari.
Cominciamo dalla più recente, la c.d. “persecuzione penale”. E partiamo con un consiglio: mai urlare vittoria prima di leggere la motivazione della sentenza, perché se si ha la capacità di comprendere il diritto, ci si può restare male, molto male. Soprattutto se si è abbastanza onesti da capire di essere andati a giudizio con un capo di imputazione diverso da quelli per i quali fu sporta denuncia.
Ebbene si, per non si sa quale gioco della sorte, la nostra denuncia rimase lettera morta, con il risultato che ormai tutti conoscono: il fatto non sussiste. Ed è vero, perché quel fatto per il quale la Dr.ssa Paola Mancuso andò a giudizio, di sicuro non sussisteva e non l’avevamo certo denunciato noi.
Durante le festività natalizie ci siamo sentiti apostrofare in vario modo da chi, ignaro del contenuto del processo, si è fermato alla prima campana e all’effetto magico che può creare l’espressione “il fatto non sussiste”…. Avremmo potuto querelare ad esempio il tizio che nell’occasione, su facebook, ci dette dei “farabutti” o rispondere a tono a quelli che ebbero a scrivere battute del tutto fuor di luogo, ma l’abbiamo già spiegato… a Natale siamo tutti più buoni, e poi, poveretti, mica era colpa loro se hanno abboccato… Le cose andarono, infatti, assai diversamente….
E oggi che, a quanto pare la Dr.ssa Paola Mancuso continua a rivangare tali ricordi, dimenticando che la sua caduta non l’abbiamo decretata noi bensì la sua stessa maggioranza, rispondere con trasparenza e completezza diventa una questione di dignità personale.
Anzitutto dovete sapere che quando sporgete una denuncia, pur illustrando dettagliatamene condotte, moventi ed eventi, non sarete mai voi a scegliere per quali reati sarà giudicato il presunto colpevole (a volte nemmeno questo potrete scegliere).
Potete anche scrivere sulla denuncia gli articoli esatti del codice penale che ipotizzate integrati ( noi ci limitammo ai titoli di reato) ma sarà sempre il PM (e non voi) ad esercitare l’azione penale e, quindi, ad individuare le condotte presunte illecite da sottoporre al vaglio del Giudice.
Ebbene, quella denuncia a cui fa riferimento la Dr.ssa Paola Mancuso nelle sue esternazioni natalizie, e che fu sporta dopo aver accertato che alla sezione civile della Corte d’Appello di Firenze, all’insaputa degli apparenti sottoscrittori, era stata introdotta una azione popolare promossa contro la sentenza del Tribunale di Livorno (che aveva statuito l’incompatibilità dell’ufficio di Sindaco con quello di Segretario Generale di Autorità Portuale nella cui circoscrizione rientrasse il comune amministrato), nonché dopo aver accertato che ( infatti ) le firme apposte erano state falsificate prima di essere autenticate da un legale al quale i malcapitati erano del tutto ignari di aver rilasciato un mandato ad litem, non sfociò mai in un processo per i reati che avevamo denunciato, nonostante il certosino lavoro della P.G. che aveva condotto l’indagine egregiamente. Perché? Perché, come sopra evidenziato, il PM decise di procedere solo per il concorso di persone nel reato ex art.481 c.p. identificando nel capo di imputazione, a carico della Dr.ssa Paola Mancuso la condotta di aver “attestato di aver curato la raccolta delle firme”.
Perché, vedete, va bene urlare di essere state assolte perché il fatto non sussiste, ma correttezza vorrebbe che si spiegasse anche quale era questo fatto che non sussiste.
Letto il capo di imputazione non ci mettemmo molto a capire che per noi il processo era finito li, tanto che non ci costituimmo nemmeno parti civili, sarebbe stato inutile, dato che in atti non vi era, in effetti, alcuna attestazione redatta dalla Mancuso in tal senso. Era ovvio e comunque prevedibile che la condotta contestata dal PM potesse sussistere solo a carico di un professionista che, nell’esercizio della sua funzione, avesse autenticato firme false, e non certo a carico di soggetti che sostanzialmente erano privati cittadini. Il 481 c.p., infatti è un reato proprio, cioè può essere commesso solo da una determinata categoria di soggetti. Ipotizzare il concorso del privato in tal reato è cosa ardua e pressochè impossibile.
E come previsto, nella sentenza di assoluzione di cui parla la Dr.ssa Paola Mancuso, è assolutamente corretto dire che il fatto non sussiste, dato che a lei (non essendo un legale che nell’esercizio della professione aveva autenticato firme false ) era stata ascritta dal PM una condotta effettivamente insussistente (che noi, infatti, non ci saremmo mai sognati di ipotizzare a suo carico).
E di ciò da conto – correttamente - il Giudice allorchè, dopo aver osservato: “E’ evidente, pertanto, che in questi casi da una parte sono state aggiunte in calce alla procura ad litem sottoscrizioni materialmente false…”, afferma: “In disparte ogni valutazione in ordine alle ipotesi di falsità materiale delle sottoscrizioni che neppure sono state contestate in questo processo, con riferimento al fatto di falsità ideologica in
certificato (art.481 c.p.), nell’analisi delle responsabilità individuali occorre partire da un dato: per
come è formulata l’imputazione il concorso dell’imputata nel reato si sarebbe perfezionato per aver ella attestato di aver curato la raccolta delle firme…. Omissis…. Occorre tuttavia precisare che non risulta dagli atti alcuna attestazione formale con la quale la Mancuso abbia dichiarato che tutte le sottoscrizioni inserite in calce alla procura processuale allegata al ricorso sono state raccolte alla sua presenza e per quello specifico scopo”. Niente di più giusto. Il fatto non sussiste. Vero. Lo sapevamo. E chi ha mai parlato di una tale attestazione???
Beh, peccato! Una sentenza così, per quanto giusta sotto il profilo formale, certamente non soddisfa nemmeno tutti quelli che si sono fatti anche un bel viaggetto a Livorno per confermare in Tribunale di non aver mai apposto quelle firme su quel mandato e di non aver mai voluto fare quel ricorso, e non soddisfa nemmeno la nostra curiosità su chi abbia deciso di far stampare oltre 100 certificati elettorali (la cui allegazione era requisito indefettibile per depositarlo) e spedirli direttamente dal fax del Comune allo studio legale domiciliatario in Firenze, ovviamente all’insaputa dei relativi interessati.
Queste erano le condotte che avevamo denunciato. Ma a giudizio, ahimè, non ci sono mai arrivate.
Valeva la pena delle giornalate con cui cantar vittoria per aizzarci contro la claque? E vale la pena di continuare a parlare ancor oggi di “persecuzione penale” e di “cause vinte fino alla Cassazione”? Ci viene da ridere, davvero.
Quanto al profilo “civile” la conclusione non è poi così diversa da quella del profilo penale. Anzi, nella sostanza possiamo dire che alla fine il risultato è esattamente lo stesso.
Le “cause civili” a cui fa riferimento l’autrice del post in realtà sono 3 gradi di giudizio della stessa causa, quella relativa alla declaratoria di decadenza per incompatibilità tra l’ufficio di Segretario Generale di Autorità Portuale e Sindaco di un Comune facente parte della medesima A.P.. Contrariamente a quanto riferito nel post la vicenda registrò la soccombenza del Sindaco in primo grado dinanzi al Tribunale di Livorno che con motivazione adeguata e ben motivata. Tale sentenza, oltre che dal Sindaco, risultava impugnata con azione popolare da un centinaio di cittadini, gran parte dei quali neanche sapeva di averlo fatto ( da qui l’apertura del procedimento penale ) e la Corte d’Appello di Firenze accolse l’impugnazione negando la sussistenza di un’incompatibilità con motivazioni che senza troppi sforzi mostrarono il fianco ad un dettagliato ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione. Questo doveva essere il momento della “Giustizia”, ovvero l’organo supremo preposto a garantire l’esatta ed uniforme interpretazione della legge, avrebbe dovuto stabilire - peraltro in difetto di precedenti giurisprudenziali - il principio di diritto al quale ogni operatore avrebbe dovuto conformarsi: stabilire cioè se tra le due funzioni c’è incompatibilità o non c’è incompatibilità.
E invece niente. Anche qui purtroppo la storia finisce così: finisce con una sentenza che, senza risolvere il quesito, si limitava a rilevare il nostro difetto di interesse a proseguire il giudizio. Perché? Perché nelle more dell’impugnazione il Sindaco era stato dichiarato comunque decaduto dalla sua funzione dal Prefetto a seguito delle dimissioni degli assessori che, dopo essere stati poco prima “congelati” (istituto di nuovo conio introdotto all’epoca dal Sindaco) non avevano più ragioni di sostenerlo.
Non ci soffermiamo sull’origine del “congelamento”, ricordiamo solo che prendeva spunto da un atto amministrativo relativo alla pulizia delle aree portuali che, meglio di ogni altro, dimostrava che la tesi dei giudici labronici, di fatto era quella giusta.
Ma quale fosse, tra le due, la tesi giusta in diritto, appunto, non si seppe mai, perché sul punto non vi fu alcuna pronuncia della Cassazione. In realtà, l’interesse che quel principio di diritto dettato dal Tribunale di Livorno fosse consacrato in una massima giurisprudenziale ce lo avevamo, eccome. Ma le regole del processo civile sono queste: l’interesse ad agire deve essere concreto, attuale ed esistente, quantomeno, al momento della decisione. Ed indubbiamente l’obiettivo della decadenza del Sindaco era stato ormai raggiunto, ancorchè per volontà di terzi.
Solo il Procuratore Generale avrebbe potuto colmare questo vuoto, attraverso il c.d. ricorso nell’interesse della legge, a seguito del quale la Suprema Corte si sarebbe dovuta pronunciare sul quesito posto. Ma questo strumento non fu mai azionato e non potevamo farlo noi, purtroppo.
Cosa intenda dunque la Dr.ssa Paola Mancuso quando parla di “cause vinte fino alla Cassazione” non è dato comprendere, ma di una cosa siamo certi: siamo stanchi di strumentalizzazioni, di retorica, di demagogia e di vittimismi artatamente finalizzati a carpire la buona fede di chi ascolta o legge ( forse in vista delle prossime elezioni? ). E soprattutto siamo stanchi di essere tirati in ballo “a vanvera” e fatti bersaglio di una schiera di soldatini che si armano a comando.
L’onestà intellettuale è dire le cose come sono e non come vorremmo che fossero. E ci scusino tanto i lettori se li abbiamo tediati, ma a questo punto il chiarimento era doveroso e non ulteriormente differibile.
P.S. Alla claque un consiglio spassionato: prima di esprimervi pubblicamente su fatti che non conoscete, documentatevi bene, serve ad evitare figure di m….. e querele!
Cesarina Barghini
Roberto Ferrini
Iolanda Rizzi
Cheti Soldani