Può la burocrazia avere un senso del bello? Oggi risponderemmo, assolutamente no. Ma in passato non c'è da esserne così certi. Osservate l'immagine. Sembra tratta da una stampa antica, un'illustrazione di una raccolta di viaggi o mirabilia architettoniche e paesaggistiche. La bellezza e ricchezza di dettagli di orti e giardini, non in forma stereotipa ma ognuno con le sue precise linee. I tratti grafici degli alberi sembrano quasi farci pensare a olivi, alla loro precisa disposizione e a una tridimensionalità, quasi che quei pendii li potessimo ammirare con i nostri occhi.
Bene, si tratta del particolare della mappa catastale ottocentesca di Rio Marina. Immaginate se oggi un tecnico si mettesse a disegnare una mappa tecnica a colori vivaci, con particolari così evocativi. Oppure vi aggiungesse la citazione colta, come fa l'oscuro addetto del passato, che sulla zona della miniera verga in evidenza la frase virgiliana “Fodina inextaustis chalibum generosa metallis”. Queste vecchie mappe invece riempiono gli occhi di senso artistico. Le potresti ammirare cento volte e ogni volta scoprire un particolare che ti era sfuggito prima. Come un quadro di Hieronymus Bosch, come la copertina del Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band.
La stessa burocrazia dell'epoca però non ebbe un altrettanto senso del bello nel rinominare uno dei paesi più ricchi di storia dell'isola con l'asettico nome di Rio nell'Elba, per distinguerlo amministrativamente dalla sua separata Marina. Peraltro tutti hanno preso a semplificare in Rio Elba. Personalmente trovo molto più bella l'antica definizione di Rio Alto. E infinitamente più bella quella di Rio Castello, ancora viva nella seconda metà dell'Ottocento. Tanto che le cronache giornalistiche riportavano, nel 1881, le gloriose quattro giornate di Rio Castello. Che, ne converrete, suona meglio delle quattro giornate di Rio nell'Elba: una forma verbale più depotenziata (meno consonanti dure) e di un decimo di secondo più lunga da pronunciare.
A parte gli scherzi, sul toponimo c'è poco da dire: Rio da “rivus”, per l'abbondanza d'acqua della fonte dei Canali, la più conosciuta dell'isola, definita “maravigliosa” da Sebastiano Lambardi, che forma un'ampia vallata, detta di Riale.
Che un giro toponomastico in questa zona cominci. Sulle pendici tra i due centri troviamo la val di Catone, presumibilmente il nome di un antico possidente. Le Venelle fanno molto probabilmente riferimento a piccole vene ferrifere. Interessante è il toponimo Giudimente: Sabbadini lo fa derivare da “vedimento”, quindi punto di osservazione. Tuttavia potrebbe essere una corruzione di “giù di monte”, indicando dunque la posizione sulle pendici del monte Fico. Curioso è il fosso del Flagello: forse fa riferimento al soprannome di un antico possidente; ma potrebbe anche originare da una passata rovinosa alluvione.
Altro bel toponimo è Piedamone: la tradizione popolare lo vuole derivato nientemeno dalla passata presenza di un tempio dedicato ad Ammon Ra. Rimaniamo con i piedi per terra. Sabbadini lo riporta semplicemente a pietrame. Ma molto probabilmente è composto da due termini. “Piè” può avere due significati: piede, inteso come “alla base di”; oppure pietra. “Ammone” potrebbe derivare da ammonite, un tipo di fossile di molluschi; ma potrebbe essere anche una corruzione di monte. Quindi le possibili spiegazioni possono essere le seguenti: “pietre di ammoniti”, ovvero zona dove sono stati scoperti tali fossili; oppure “piede del monte”, inteso come la collina di Torre del Giove.
Sulla costa sud di Rio Marina si trova l'interessante Calabaroccia, di non semplice decifrazione: “baroccia” potrebbe derivare dal verbo elbano “barà” sia inteso come varare che come franare. Nel primo caso potrebbe far riferimento all'approdo dal significativo nome di Porticciolo; nel secondo da cala o costa franosa. E le piccole spiagge che si affacciano su questo bel litorale riportano a nomi di antichi possidenti o pescatori: Marina di Gennaro e Luisi d'Angelo.
A un passato agricolo importante quanto quello estrattivo riportano diversi “campi”: Campo all'Olivo, Campo al Pero, Campo al Sorbo, Campo di Voce, Campo Grande, Campo Maggiore. Così come l'Aia di Cacio, che se non è un soprannome moderno potrebbe derivare da un romano Cassius. Chiarissimi sono Chiusa, Vignale, Vigneria e il fosso Orto all'Acqua, nonché l'Aia, esattamente a metà strada tra i due centri. Canapai ricorda tempi in cui la coltivazione della canapa era anche nelle nostre zone cosa del tutto normale e senza isterismi proibizionisti. Forse a frutteti di peri si riferisce Perelle, ma non è da escludere che si tratti di un toponimo corrotto. E stesso discorso può valere per il monte Fico.
Un curioso toponimo si trova vicino San Felo: Cavallo Vecchio, che forse fa riferimento a un episodio del passato. Proprio a San Felo sorgeva il borgo medievale di Cruce, la cui chiesa dedicata a san Felice (di cui restano scarse tracce) riporta al toponimo moderno. La spiegazione dell'antico nome è incerta: Sabbadini la riporta a una croce votiva, ancora presente ai suoi tempi; ma non vanno escluse altre due ipotesi: il riferimento a un incrocio viario; o un antico sistema di divisione terriera. Nella zona si trova il fosso dello Scaricatore, che forse fa riferimento alla discarica dello stesso paese di Cruce. Oscuro invece è il toponimo Sessanta, che dà il nome a un fosso: Sabbadini ipotizza che si tratti di un cognome. Più chiaro è Filicaiolo: deriva dal latino “filicarium”, ovvero felceto, facendo molto probabilmente riferimento alle ampie praterie formate da Pteridium aquilinum. Arco, che dà il nome al monte e al promontorio, verosimilmente origina dal termine “arce”, ovvero sommità. Interessante è il Voltaio che dà il nome a una selvaggia valle a sud di Ortano: molto probabilmente deriva da “voltatoio”, ovvero una pozza in cui si rotolano i cinghiali, ma anche più estesamente a una zona fangosa, melmosa.
Un toponimo decaduto è la val di Cecini: secondo Sabbadini il toponimo deriva da cigni (improbabile, data l'assenza di questa specie sull'isola); mentre per Romualdo Cardarelli deriva dal corso “cècianu”, una specie di falco; ma è molto più probabile che sia un personale latino, forse un antico possidente della zona.
In conclusione va senz'altro menzionata Grassera, importante paese medievale, che sorgeva nell'attuale località Parata (derivante molto probabilmente da “barata”, ovvero pendice franata), e distrutto nel corso degli attacchi turcheschi del Cinquecento. L'unica traccia di esso è il rudere della chiesa di San Quirico. Il toponimo, che è riportato anche nella forma Grassula, è di non facile decifrazione. Viene fatto risalire al latino “herba crassula”, ovvero quelle specie vegetali a foglie grasse, ma appare poco convincente. Più plausibile l'ipotesi di Sabbadini che lo vuole originato al cognomen romano Crassus/Crassulus. Si può anche ipotizzare anche possa derivare da “terreno grasso”, ovvero ricco e adatto per le coltivazioni della zona.
Andrea Galassi