La conoscenza della storia non ci fornisce mai dosate ricette per la soluzione dei problemi dell’oggi, ma utili indicazioni per affrontarli, sì.
Inquadrati per la cerimonia di commiato, sul punto di tornare “borghesi”, ascoltavamo l’ultimo “pippettone” che ci ammanniva il comandande del reparto, in cui l’oculata burocrazia militare del tempo aveva concentrato un centinaio scarso di “teste calde” provenienti da tutta Italia, (taluni dalle carceri militari), i supposti “rivoluzionari” sulle schede personali dei quali, segretamente (alla Pulcinella tutti sapevamo della loro esistenza e contenuti) conservate presso l’ufficio “I”, erano state stampigliate una o più evocative stelle rosse.
Eravamo - nel tempo delle bombe, delle stragi che non avrebbero mai trovato colpevoli, dello Stato che tramava contro se stesso con i suoi servizi segreti – dei “cattivi soggetti” da tenere sotto controllo e sotto pressione psicologica, almeno per quegli interminabili quindici mesi di servizio militare, in un posto “speciale” dove i servizi erano continui e massacranti, la disciplina molto più dura che altrove, le punizioni fioccavano anche per la più irrisoria delle mancanze.
Quel giorno finiva la nostra “detenzione” e il Panzone, ridicolo in abiti guerreschi, continuava la sua ultima concione finalizzata a dimostrare quanto stronzi e nemici della Patria fossimo noi debosciati comunisti, e noi non vedevamo l’ora che finisse, per la noia, ma soprattutto per la voglia di compiere lo sberleffo finale che avevamo concertato.
Il Panzone rimase esterrefatto quando ci vide tutti, ad uno ad uno chiamati per nome, sfilare davanti a lui, ritirare il foglio di congedo ma rifiutare la tessera dell’associazione d’arma, marzialmente salutare e girare sui tacchi.
Tutti, da Umberto raffinato intellettuale mantovano che aveva studiato sociologia a Trento, a Vincenzo muratore comunista di Sciacca, passando per uno scapestrato isolano, presero la tessera e, con gesto evidente, affettato, la lasciarono ricadere sul vassoio dal quale era stata tolta,
Come previsto, di fronte a quel mucchio di tessere gialle, di fronte a quel gesto di disprezzo e di non punibile finale insubordinazione, il Panzone perse la tramontana ed iniziò a farfugliare offese e discorsi sconnessi, finché non approdò alla massima tra le favate: “.. sbagliate perché questa non è né un’associazione politica, né un’associazione apolitica …”
Fu allora che dalle ultime file un palermitano, che sarebbe diventato anni dopo un importante dirigente sindacale, esplose un micidiale “E ALLORA CHE MINCHIA FU?” che provocò incontenibili cachinni, sguaiate risa, inutili richiami all’ordine, e di fatto chiuse, mandandolo completamente in vacca, il previsto cerimonioso rituale.
Alberti, mi pare si chiamasse così, avrebbe potuto argomentare più finemente “Un’associazione, le faccio rispettosamente notare, o è politica o è apolitica .. tertium non datur”, ma in effetti il diretto “E allora che minchia fu?” risultò più comunicativo ed efficace.
Innumerevoli volte, al cospetto delle contraddizioni che la vita mi ha fatto sfilare davanti, mi è tornato in mente “E allora che minchia fu?”
Certo si può fare politica in miliardi di modi, ma alla semplificazione finale si è di destra o di sinistra; sulle scelte anche relative a singole questioni, non ci si può definire: “né di destra, né di sinistra” perché “l’allora che minchia fu”è in agguato.
Non ce la si cava dicendo di essere “oltre”, oltre la politica (di destra o di sinistra), specie poi se si pretende di ragionare di politica, si è in contraddizione con se stessi, e non si è su questa terra ma tra gli spazi siderei, come astronavi perse in attesa di improbabili docking.
Faccio un esempio concreto: sulle politiche dell’immigrazione, questione nodale ed epocale per l’intero pianeta (e non solo per quella sua modesta frazione chiamata Italia) sullo jus solis e su tutte le derivazioni del riconoscere ad ogni umano, di qualsiasi sesso, razza, religione luogo di origine e filosofia, gli stessi diritti e gli stessi doveri o si è aperti, solidali ed internazionalisti (quindi di sinistra come, non sobbalzate, il grande Papa Francesco) o chiusi, egoisti e nazionalisti (e quindi di destra come il Legaiolo Salvini).
E’ vero che in una persona (e perfino in un assieme di persone) possono coesistere concezioni di destra e di sinistra su singoli aspetti del vivere, ma lo zampettare sistematicamente tra l’una e l’altra filosofia di vita, un po’ perché lo si pensa, un po’ perche “lo ha detto il capo” (o la TV, o Internet) nel migliore dei casi può essere definito un atteggiamento centrista, più frequentemente non si è “oltre” ma si è contraddittori e sostanzialmente confusi, in proprio o come acritico riflesso della confusione e delle contraddittorietà che albergano nel Grande Fratello che abbiamo scelto come luce e guida