Niente probabilmente è più lontano dalla caotica ferocia del Messico dalla placida isola d’Elba che si appresta ad accogliere frotte di turisti e guarda con assoluto disincanto alle prossime elezioni regionali, eppure le due iniziative tenutesi il 27 maggio a Portoferraio e Marina di Campo hanno suscitato un inaspettato interesse ed in particolare quella campese, organizzata dal Circolo culturale le Macinelle, dal Comune di Campo nell’Elba e dalla Biblioteca comunale è stata non solo affollata, ma si è caratterizzata per un dibattito vivace.
Voci dal Messico delle “desapariciones forzadas”, l’incontro con il giornalista Federico Mastrogiovanni., un giovane giornalista italiano che vive e lavora in Messico da diversi anni, collaborando con organizzazioni e comunità indigene, movimenti sociali e ambientali, è stato introdotto dal giornalista di greenreport.it Umberto Mazzantini con un rapido ma informato sunto della situazione di un Paese che riassume tutte le contraddizioni dell’America Latina e dove l’orrore e la speranza, la ricchezza e la miseria, convivono, con sullo sfondo quella che viene presentata come una guerra tra narcotrafficanti e che in realtà, come ha detto Mazzantini, è una guerra per le risorse che coinvolge la politica messicana e le multinazionali e sulla quale i governi e la stampa occidentali sembrano aver steso una coltre di silenzio e di cattiva informazione.
Mastrogiovanni che scrive per Latinoamérica, Radio Svizzera Italiana, il Fatto Quotidiano, Carta, Radio France Internationale, il Manifesto, Milenio Settimanale, Gatopardo, Variopinto e il quotidiano brasiliano Opera Mundi, e che è stato inviato speciale durante il colpo di stato in Honduras nel 2009 e il terremoto di Haití nel 2010, ha spiegato ad un pubblico sempre più sconvolto da quanto sentiva e vedeva nel prologo del video di “Ni vivos ni meuertos”, realizzato insieme a Luis Ramírez – e che è anche un libro edito in Italia da DeriveApprodi – ha spiegato che questa coltre ricopre la sorte di 30.000 desaparecidos messicani e che è stata strappata solo dalla la sparizione forzata dei 43 studenti di Ayatzina, che il governo messicano del Partito rivoluzionario istituzionale sta cercando di liquidare dando per certa la morte dei giovani. Ma la “desapariciones forzadas” di questi studenti di una scuola magistrale ha svelato la strategia del terrore che, insieme ai leader comunitari che si battono contro le multinazionali del petrolio, minerarie e degli Ogm, colpisce sempre più la gente comune, una guerra contro il proprio stesso popolo che sembra insensata e che invece punta a zittire ogni voce, a fare terra bruciata intorno agli oppositori, a rendere impossibile ogni critica ad un sistema che vede la politica collusa con i cartelli criminali.
E pensare che tutto è cominciato nel 2006 con la dichiarazione di guerra ai narcos da parte dell’ex Presidente liberista messicano Felipe Calderon, del Partito di Azione nazionale (Pan), che invece, come ha spiegato Mastrogiovanni, era solo una guerra civile scatenata dai grandi potentati economici per ridefinire gli equilibri di potere in Messico, il Paese forse più armato ed insicuro dell’America Latina, dove gli “Zetas” ed altre bande criminali controllano gran parte dell’economia legale e tutta l’economia illegale: dal traffico di esseri umani che sono costretti ad attraversare questo pericoloso “Paese-Continente” per raggiungere gli Usa, alla desertificazione sociale intorno alle aree dove le multinazionali voglio realizzare le miniere di oro, argento, ferro, altri minerali e grossi impianti energetici, all’intimidazione delle comunità indigene che non vogliono coltivare Ogm e si battono contro il Trattato Nafta con Usa e Canada che costringe il Messico, patria del mais, ad importare mais Ogm Usa… In questo scenario il narcotraffico, presentato anche da quasi tutta la stampa italiana come la causa di tutti i mali del Messico, è ormai un affare marginale perché la criminalità si è fatta Stato e la violazione dei diritti umani norma.
Ma il Messico, come ha fatto notare Mazzantini, non è un Paese africano, è una delle potenze economiche emergenti del mondo, ha ospitato il G20 di cui fa parte, è una democrazia nella quale si vota, nella quale teoricamente ci sono Partiti alternativi, ma il Messico è anche l’esempio del nuovo “autoritarismo democratico” che sta prendendo sempre più piede nel mondo globalizzato, dove non servono più le dittature fasciste che soffocarono nel sangue l’America Latina, ma docili governi dal pugno di ferro che mettano in atto le direttive delle multinazionali diventate accordi tra Stati. Il Messico e le “desapariciones forzadas” sono la punta dell’iceberg di un intreccio tra crimine e politica, tra autoritarismo e pensiero unico economico globalizzato, che potrebbe spingere molti Paesi a diventare strane “democrazie”, in realtà regimi autoritari che stanno «Tra noi e la Cina».
E Mastrogiovanni, rispondendo ad una domanda se, di fronte a questo dramma, ignorato e minimizzato perfino dalla stessa grande stampa messicana, esista una alternativa politica immediata, a risposto di no, perché tutti i grandi partiti messicani, dal Pri al Pan, fino alla sinistra del Partito della rivoluzione democratica (che governa Città del Messico), non mettono davvero in discussione il “sistema”, l’unica forza davvero alternativa sembra il Movimiento Regeneración Nacional (Morena), ancora troppo debole e che non è mai stato messo alla prova del governo, che ha sempre tolto ogni illusione sulle reali intenzioni dei Partiti messicani. Con l’Ejército Zapatista de Liberación Nacional, ormai ridotto a fenomeno residuale nel Chiapas, secondo Mastrogiovanni l’unica vera resistenza resta quella dei movimenti sociali e indigeni, che però è molto localizzata, a macchie di leopardo e priva di un reale coordinamento, ma solo partendo da qui il Messico potrà ritrovare la speranza e il futuro e riconoscere i “Ni vivos ni meuertos” ed onorare i le vittime innocenti delle “desapariciones forzadas”.