Yuri Tiberto, commentando (Facebook) l’intervento di “tal Caracuto” su Elbareport del 12 febbraio, afferma: “Anonimo osservatore "di sinistra", ma pur sempre anonimo: il che la dice lunga su quanto sia ancora in auge la teoria del "non esporsi mai a priori, non sia mai che vincano gli altri e scattino ritorsioni... Paure ataviche ma comprensibili…”; e Gianluigi Palombi, commentando a sua volta Tiberto, aggiunge: “Molto più nobile uscire allo scoperto, rispetto a chi agisce in maniera anonima avendo probabilmente qualcosa da nascondere o di cui vergognarsi”.
Conoscendo –non direttamente, ma in quanto personaggi pubblici- i due autori citati, persone cortesi e ragionevoli, evito volentieri la facile conclusione che ognuno giudica secondo il proprio metro. Preferisco spendere due parole sull’uso degli pseudonimi nella tradizione polemistica. C’è chi vi ricorre, ad esempio, per non impegnare altri nelle cose che afferma: se Il Caracuto fosse il direttore del “Corriere della Sera” (si fa per dire) che frequenta l’Elba d’estate, firmando col proprio nome rischierebbe di coinvolgere il proprio editore e la redazione in cose a che a loro non interessano affatto; se fosse il direttore di un Istituto bancario, o di un Ufficio governativo, o fosse membro di uno studio di professionisti associati, finirebbe per coinvolgere nelle proprie considerazioni altri che non vi hanno a che vedere o che non le condividono, o che sono altrimenti tenuti alla riservatezza; allo stesso modo se avesse nella vita un partner che la pensa diversamente, si troverebbe imbarcato in faticose beghe private. Oppure lo pseudonimo indica semplicemente il ‘ghost writer’ di un gruppo di persone –come, nel caso di specie, potrebbe suggerire il nome di un arbusto verde con tante palline rosse-… Dunque non c’è bisogno d’andare a cercare paure di ritorsioni o scheletri negli armadi.
Insomma, non mi pare importante indagare più che tanto. L’anonimato è spregevole quando il messaggio che trasmette è minaccioso, o ricattatorio, o denigratorio e calunnioso, o anche solo perfidamente allusivo. Se invece risulta essere, come Tiberto e Palombi paiono inclini a pensare, un contributo di riflessione civile, cogliamo quel che dice se interessante e utile senza preoccuparci d’altro.
Ma, venendo al merito, mi pare cogliere nel giusto Tiberto quando dice che per Il Caracuto “sembra che ancora si diano per scontati principi e piattaforme di partenza che forse avevano valenza qualche lustro fa, ma che nella realtà odierna sono assolutamente obsoleti”. Che sia proprio questa obsolescenza la causa dell’impoverimento così clamoroso del ragionamento politico, dell’appiattimento in un’indistinta “notte in cui tutte le vacche sono nere” (Hegel), in quella omologazione che Gaber 23 anni fa cantava con amarezza incredibile, senza ancora aver visto il peggio che sarebbe venuto?
La fotografia della situazione che Tiberto fa mi sembra assai aderente alla realtà –del resto la conosce bene proprio nello specifico in quanto uomo delle Istituzioni-; e il programma “condiviso” che descrive con arguzia e humour, puntuale nelle sue velleità e nella sua vacuità, è tratteggiato con il sorriso amaro di una delusione che racconta la sconfitta, di tutti. Ma se invece fosse possibile ancora salvarsi dalla sconfitta, vincere la disperazione, partendo proprio dal restauro dell’obsolescenza della Politica, ritrovando le ragioni di un impegno civile e di una rinnovata voglia di alzare la testa e guardare avanti, e cercare una strada da aprire e proporre e condividere?
E qui ritorna la distinzione fra Destra e Sinistra. La Destra dice che se ciascuno cerca il proprio bene e la propria utilità, alla fine ne deriverà il bene e l’utilità di tutti. Il ragionamento potrebbe anche filare, ma nessuno può dire quanto tempo occorrerà perché questa legge dei vasi comunicanti sociali conduca a un equilibrio che non sacrifichi troppo nessuno e non metta in pericolo la pace sociale che ne è condizione necessaria; e le indicazioni di metodo per raggiungere quell’equilibrio si stanno dimostrando catastrofiche, perché stanno producendo progressivamente il risultato contrario. La Sinistra dice che se ci si impegna tutti insieme a ricercare il bene di tutti nella prospettiva secolare dei vari socialismi –certo evitandone gli errori-, si possono immaginare risultati più prossimi. E comunque l’impegno comune sostiene almeno la speranza.
In ogni caso, criterio guida di ogni azione politica deve essere sempre la legalità, attiva e passiva: ognuno riceva tutto e soltanto ciò che le leggi stabiliscono, e dia ugualmente ciò che deve.
I dettagli, come dice Palombi, scaturiranno dalle formazioni politiche, avendo ben presente che “il superamento delle idee a favore di comuni "affarismi" è quanto di più nocivo c'è in politica, anche locale”. I diversi “metodi” che sostanzieranno i programmi saranno discriminanti per le scelte dei cittadini. Allora la Politica avrà di nuovo senso. Si può fare, sembra di poter dire. Stiamo aspettando che qualcuno lo faccia.
Luigi Totaro
NDR: Rispondendo alle numerose richieste dei lettori:
il "caracuto" (vedi http://www.elbareport.it/arte-cultura/item/18184-il-caracuto-degli-antichi-elbani ) è l'Agrifoglio delle Nebbie (Ilex aquifolium), un alberello molto longevo e a lentissimo accrescimento che predilige molta ombra insieme ad un alto tasso di umidità atmosferica; non a caso lo si ritrova sempre immerso tra alberi più alti di altre specie, a partire dai 300 metri di altitudine. Il suo antico nome elbano era «caracuto», identico al «caracutu» di Corsica;