E’ ricominciata la polemica sui cinghiali e come sempre qualche buontempone da la colpa a chi è la vittima: il Parco Nazionale che si vede letteralmente mangiata la sua biodiversità da questi “manghiali” introdotti per divertirsi a sparargli più di 30 anni prima dell’istituzione dell’area protetta. Per non scordarsi (o informarsi) di come sono andate le cose vi proponiamo un articolo di Gaetano Riviello - uno dei maggiori esperti di gestione faunistica italiani ed autore del libro “Evoluzione della Caccia al Cinghiale in Toscana” e del Corso di Gestione venatoria del Cinghiale su CD multimediale per Italcaccia, con il contributo della Regione Toscana, ATC FI-4, ATC FI-5, Provincia di Firenze - pubblicato su greenreport.it il 13 giugno 2013 con il titolo “Cinghiale: tutta la storia del caso eccezionale dell’Isola d’Elba”.
L’attuale presenza del cinghiale all’Isola d’Elba va fatta risalire al 1960, più di cinquanta anni fa, quando il suide fu immesso dal Comitato Provinciale della Caccia di Livorno (Benini, 1989). L’Elba è un caso emblematico perché, trattandosi di un’isola, le immissioni con animali non adatti si sarebbero potute evitare.
L’isola, insieme con le Alpi Apuane e l’Argentario ad est, la Corsica e la Sardegna ad ovest, è ritenuta parte residua dell’antica Tirrenia o Tirrenide: il continente che nel passato occupava il bacino del Mediterraneo occidentale. In seguito al suo sprofondamento (avvenuto forse agli inizi del Pliocene) ebbe origine, nell’Era Mesozoica, la formazione dell’attuale Tirreno. Il distacco delle isole avvenne in tempi diversi: per prima si separò la Sardegna, quindi la Corsica e per ultima l’Elba. Questa, quindi, mantenne più a lungo delle altre il contatto con la terraferma; ciò potrebbe essere la spiegazione per alcuni resti fossili, trovati nella Grotta di Reale, presso Porto Azzurro, classificati come resti di capriolo (Capreolus capreolus) di cervo europeo (Cervus elaphus), di lince (Lynx lynx) e di cinghiale (Sus scrofa).
Il cinghiale sull’isola esisteva, quindi, sin dal passato. Con il definitivo distacco dalla penisola italiana, tutte queste specie di grossa taglia furono gradualmente cacciate e uccise dall’uomo, che era già presente sull’isola. A conferma di ciò, nelle documentazioni etrusche dell’Elba non è fatta alcuna menzione di questi animali. Tralasciando tali considerazioni paleontologiche e venendo ai giorni nostri, il cinghiale all’Elba ha subito una serie di continue modificazioni della sua popolazione, modificazioni determinate esclusivamente dall’attività umana.
Sul finire degli anni ’50, il Conte Bossi-Pucci, donò all’allora Comitato Provinciale della Caccia di Livorno alcuni cinghiali di razza mista, maremmana x europea, che immediatamente furono introdotti sui Monti Livornesi e sul Promontorio di Piombino (Borsotti e Arcamone, 1984).
Lo stesso ente, agli inizi degli anni ’60, decise di estendere la popolazione di cinghiale nel livornese immettendolo anche all’isola d’Elba dove, come detto prima, era assente. Secondo alcune indicazioni fornite dall’ufficio di polizia venatoria di Portoferraio furono liberati tre esemplari, un maschio e due femmine gravide, nella zona di San Martino. Si trattava d’incroci maremmano x ungherese, acquistati anch’essi all’allevamento del conte Bossi-Pucci. Quasi subito il maschio rimase ucciso, investito da un camion delle miniere, mentre le due femmine riuscirono a partorire.
L’esigua popolazione fu accresciuta con l’introduzione di un altro maschio, sempre per opera del Comitato Provinciale della Caccia di Livorno, cui fecero seguito altre immissioni, stavolta da parte dei cacciatori. Un esempio ci viene fornito dalla squadra di Marciana Marina che, nei primi anni successivi all’introduzione, si autotassò di 5.000 lire a testa per l’acquisto di tre femmine già gravide e di un maschio. Il proposito era quello di mantenere chiusa per almeno cinque anni la caccia, dalla prima immissione. L’aumento della popolazione fu tale, però, da richiedere l’anticipazione di tale data poiché l’elevato numero d’animali stava arrecando notevoli danni alle coltivazioni, in particolare a quella della vite.
In un articolo comparso il 22 novembre 1975 sulla rivista Diana, intitolato A caccia nell’isola d’Elba, Andrea Brizzi affermava che ripopolamenti con cinghiali sull’isola erano stati fatti anche nel 1968 e che erano stati finanziati dai cacciatori stessi. Nel 1975 la caccia al cinghiale all’Elba era aperta dal primo ottobre al 15 gennaio, tutti i giorni all’infuori del martedì e del venerdì.
Nel triennio 1982-84, gli abbattimenti totali effettuati sull’isola, secondo notizie fornite dalla squadra di caccia di Marciana Marina (dati peraltro contrastanti con quelli forniti da altre squadre e dal Corpo Forestale dello Stato di Marciana), furono i seguenti:
Anno 1982 CAPI ABBATTUTI 700
Anno 1983 CAPI ABBATTUTI 350
Anno 1984 CAPI ABBATTUTI 580
Tabella n° 1: cinghiali abbattuti all’Elba secondo notizie fornite dalla squadra di Marciana Marina
Al numero dei capi catturati nel corso della stagione venatoria occorre anche aggiungere quelli rimasti vittime del bracconaggio. Si stima che il numero dei capi uccisi ogni anno dai bracconieri, sia equivalente a quello ottenuto nel periodo di caccia. Nel 1989, sempre secondo Riccardo Benini, che in quell’anno si laureò in “Scienze forestali” discutendo una tesi sul cinghiale presente all’Elba, il modo di gestire le popolazioni si basava su immissioni annue operate da quasi tutte le squadre di caccia sull’isola. Tali introduzioni erano state facilitate dal sorgere, nell’entroterra livornese, di numerosi allevamenti gestiti sia da enti pubblici sia da privati, e da altri piccoli allevamenti presenti sull’isola stessa. Due di questi si trovavano a Madonna del Monserrato e nei castagneti sotto Poggio. La loro funzione era quella di rifornire di porcastri le locali squadre di caccia. I gruppetti di giovani cinghiali, rilasciati nella macchia dalle varie squadre, venivano a volte “trattenuti” in loco mediante l’uso di pasture a base di mais e altri cereali.
Ogni squadra eseguiva le proprie immissioni in un’area ben definita, che era quella dove poi di preferenza si recava a caccia. A tale proposito esisteva un tacito accordo tra le squadre che riguardava il reciproco rispetto delle suddette zone. In quegli anni l’isola d’Elba poteva quindi essere paragonata a una sorta di grande allevamento di cinghiali dove, in occasione del periodo di caccia, si uccideva un certo numero di soggetti e altrettanti o quasi erano immessi subito dopo dai cacciatori (Benini, op.cit, 1989).
Le conseguenze di questo stato di cose si sono già accennate: la forte presenza dei cinghiali sull’isola e in tutto il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (2.500 capi, contro una capacità faunistica massima stimata di 700) aveva ormai determinato una situazione insostenibile per i pochi agricoltori rimasti e anche per il Parco stesso (Massoli Novelli, 2001).
BIBLIOGRAFIA
Benini R., 1989 – La popolazione di Cinghiale (Sus scrofa L.) dell’isola d’Elba e sua distribuzione in rapporto ai diversi tipi vegetazionali. Tesi di laurea in “Scienze forestali”, Facoltà di Agraria. Università degli Studi di Firenze, A.A. 1988-89
Borsotti G., Arcamone E., 1984 – Il Cinghiale nel Livornese. Fascicolo tratto dagli Uffici del Museo Provinciale di Storia Naturale di Livorno, 30 settembre 1984.
Brizzi A., 1975 – A caccia nell’isola d’Elba. Diana, 23.
Massoli Novelli R., 2001 – Un selvatico in continua espansione. Diana, 95, 3.