Della proposta dei riformisti per l’Italia di Bersani vorrei soffermarmi in particolare sul tema ambientale che incrocia con implicazioni dirette sia l’ambito economico-finanziario che quello istituzionale. Dico subito che considero il documento importante perché vi sono le premesse anche per il Pd per avviare una fase in cui le questioni ambientali per quell’intreccio che dicevo potranno trovare finalmente una chiara messa a punto che finora è mancata o è stata inadeguata anche per essere stata ‘delegata’ agli ecodem separandola di fatto dal resto quasi un partitino verde di cui non vi è alcun bisogno.
Cominciamo quindi dal capitolo ‘Sviluppo sostenibile’ in cui è detto che il nostro territorio va usato al meglio, che non è solo arte, bellezza naturale, ma un bacino di risorse creative, talento. E una politica industriale ‘integralmente ecologica’ è la prima e più rilevante di queste scelte’.
Basta guardare alle vicende dell’ILVA di Taranto per avere chiara conferma di quanto sia corretta questa scelta. E forse non guasta ricordare che una delle prime leggi ambientaliste in Italia la Merli riguardò appunto l’inquinamento. Ma non è male ricordare neppure come anche alcuni giornalisti hanno fatto in questi giorni che quando si trattò di scegliere i terreni per la fabbrica non si tenne conto delle proposte dei pianificatori sebbene autorevolissimi ma degli amici degli amici.
Non si tratta, infatti, come sappiamo di un problema che riguarda solo il passato e neppure solo il sud se pochi giorni fa si è tentato per l’ennesima volta di condonare la Campania a tappeto mentre in Sardegna Cappellacci sta maciullando il piano delle coste di Soru. Nonostante Taranto o l’amianto effetti ugualmente dannosi per l’ambiente e anche per la salute possono derivare oggi da attività che di primo acchito sono ascrivibili alla greeneconomy; energie rinnovabili e altro che possono però come già in più d’un caso avviene, penalizzare ulteriormente l’agricoltura, (le biomasse) danneggiare il paesaggio (eolico) etc. E anche in regioni come la Toscana se fai presente questi aspetti ti puoi beccare l’accusa di essere una ambientalista al caschemir o alla bamby.Bersani ricorda che l’ambiente, i beni comuni è uno dei campi in cui non deve esserci il povero né il ricco perché questi sono beni indisponibili. Si tratta infatti della energia, dell’acqua, del patrimonio culturale e del paesaggio che devono vivere in un quadro di programmazione, regolazione e controllo di qualità. Bersani assicura che una volta al governo introdurrà normative che definiscano i parametri di gestione pubblica o, in alternativa i compiti delle autorità di controllo e tutela delle finalità pubbliche dei servizi. E’ un punto importante che per essere però credibile richiede che qualcosa anche il Pd lo cambi subito. Della programmazione, del controllo delle finalità da tempo si sono perse le tracce e anche nei documenti ma soprattutto nella iniziativa del Pd a partire da quella parlamentare ma giù per li rami anche nelle regioni e negli enti locali non si trova granchè.
Che le alluvioni abbiano affondato anche la legge 183 ancora in prorogatio dopo le manomissioni della commissione Matteoli per lasciare mano libera a Bertolaso, non mi pare abbia stimolato più di tanto la nostra iniziativa. Che il paesaggio con il nuovo Codice dei beni culturali sia stato nuovamente separato dall’ambiente dopo che la legge 394 sulle aree protette li aveva integrati e proprio nel momento in cui anche il nostro paese sottoscriveva la Convenzione europea non ha suscitato molte reazioni o proposte. E quando con la Prestigiacomo è iniziato di fatto la messa in crisi dei nostri parchi proprio nel ventennale della legge quadro il Pd al Senato non ha saputo fare di meglio che sostenere che i guasti anziché dalla politica del governo dipendevano dalla legge che andava cambiata ( male).
E qui si torna a Bersani che giustamente sostiene che dei beni comuni devono farsi carico le comunità e il tessuto degli enti locali che devono offrire spazi e occasioni ai protagonisti di partecipazione civile e del volontariato.
E’ un punto cruciale specie dopo la sentenza della Consulta sui referendum perché con quei movimenti le istituzioni devono riuscire a stabilire intese e collaborazioni evitando che trovino incoraggiamento quelle posizioni di mera contrapposizione alle istituzioni perché queste e la politica non sarebbero in grado di recepire le nuove istanze popolari.
E qui si incrocia un altro passaggio cruciale sul quale forse anche il documento di Bersani avrà bisogno di qualche integrazione chiarificatrice.
Mi riferisco a quella riforma del governo del territorio sanzionata dal nuovo titolo V della Costituzione dal 2001 che avvalendosi anche della Riforma Bassanini avrebbe dovuto avviare quel nuovo assetto ‘quasi federalista’ finito invece come si può vedere anche con quel che sta succedendo per le province in un vero stato confusionale. L’ispirazione o meglio i criteri che avrebbero dovuto connotare le nuove politiche di programmazione e pianificazione del territorio e i loro livelli erano la giustezza, adeguatezza e differenziazione. Arduo trovarne traccia se consideriamo che lo stato oggi ha recuperato una serie di funzioni riaccentrandole senza peraltro accrescere la sua capacità e ruolo di regia nazionale e europea perché i ministeri a partire da quello dell’ambiente e dei beni culturali si sono badati bene dal mettere in atto la Bassanini. Un disegno che avrebbe dovuto ridelineare quella filiera istituzionale capace di redistribuire funzioni e competenze in cui al livelli superiori è affidato solo quello che i livelli inferiori non possono fare. Ma basta guardare a quanto sta succedendo oggi per toccare con mano che il rimescolamento confuso e pasticciato dei ruoli è del tutto scollegato e sconnesso da qualsiasi discussione sulle funzioni e di quella ricerca di coesione istituzionale a cui oggi è preposto anche un ministero.
Non mi sono allontanato dai temi posti da Bersani perché quell’autogoverno a cui fa riferimento il documento richiede questa riforma perchè non resti come il titolo V scritto sulla carta.
Un autogoverno senza che finalmente si mettano in rete comuni, province o quel che ne resterà, regioni ma anche autorità di bacino, aree protette ossia soggetti istituzionali che non operano soltanto su dimensioni diverse ma anche con compiti diversi e speciali in quanto preposti unicamente e specificamente ad assicurare a quei beni comuni indisponibili una gestione non subalterna al mercato per essere magari dismessi.
Renzo Moschini